Il palazzo in campo San Polo, acquistato dalla famiglia Corner nel
1460, fu seriamente danneggiato da un incendio nel 1535; una volta
ricevuto in eredità l’edificio (1542-1545), Giovanni Corner incaricò
Michele Sanmicheli della sua ricostruzione. Il palazzo fu così
riedificato tra il 1552 e il 1564, quando i figli eredi di Giovanni,
Francesco e Marcantonio, risultano abitare nel primo piano nobile.
La complessa operazione progettuale di Michele Sanmicheli, che
prevedeva il riutilizzo di gran parte delle strutture preesistenti,
avrebbe portato alla realizzazione di una delle più monumentali e
sfarzose residenze patrizie della città, aspetto che si è mantenuto
nei secoli, nonostante tutte le trasformazioni e i passaggi di
proprietà intercorsi. Il palazzo è rimasto nelle proprietà della
famiglia Corner fino al 1798, quando con la morte di Giovanni, passa
in eredità alla figlia Laura che due anni prima aveva sposato Alvise
Mocenigo. Dopo la morte di Laura Corner Mocenigo, il 28 maggio 1846
il palazzo viene consegnato alla I.R. Direzione Centrale del Censo
con contratto di locazione novennale successivamente rinnovato.
Divenuta Intendenza di Finanza nel 1866, con l’Unità d’Italia, tali
uffici vi rimasero fino al 1870, quando l’edificio risulta occupato
dall’Archivio Catastale e dall’Ufficio dell’Ispettore Capo della
Guardia Doganale. Nel 1876, il palazzo viene venduto da Alvise IV
Mocenigo a Luigi Revedin, che fra il 1876 e il 1898 affitta alcuni
locali all’Istituto d’arte. Nel 1899 i Revedin lo cedono a Isolda
Keppler vedova Tivelt, che utilizzerà l’edificio come clinica per i
residenti inglesi. Fallita la clinica, nel 1911 il complesso viene
acquistato da Gianpietro Talamini, proprietario del “Gazzettino”, il
quale nel 1916 lo affitta al Demanio dello Stato per allocarvi il
Comando della Guardia di Finanza. Il 7 dicembre 1953, la storica
dimora dei Corner è acquistata dal Demanio e definitivamente
assegnata alla Guardia di Finanza.
L’edificio è una complessa “macchina” architettonica,
organizzata sulla tradizionale struttura tripartita del palazzo
veneziano, con un portego passante centrale, affiancato da due fasce
di ambienti minori. Al piano terreno e ai due piani nobili, che
ripetono lo stesso schema tripartito, si aggiungono tre mezzanini
nei livelli intermedi. Il fronte verso il campo è risolto con un
cortile e con una facciata minore corrispondente, al piano terreno,
ad un atrio di accesso. Questo prospetto laterale, pur nelle
trasformazioni subite negli ultimi due secoli, mantiene la
successione di due trifore in corrispondenza dei piani nobili. La
facciata sul canale, nella sua organizzazione a tre fasce verticali,
rispecchia l’impianto planimetrico; si tratta del modo tradizionale
con cui a Venezia si organizzano le facciate sul canale di edifici
residenziali (palazzi monumentali, ma anche edilizia minore). Questo
modello è reinterpretato da Sanmicheli alla luce del linguaggio
“all’antica” degli ordini, in una soluzione che si ispira a modelli
romani e fiorentini, oltre che ai più aggiornati palazzi veneziani
del Rinascimento (come Ca’ Corner della Ca’ Granda), ma anche ad una
tavola pubblicata da Sebastiano Serlio nel suo Libro Quarto (1537).
Il piano basamentale è risolto con un bugnato che ricorda le
architetture militari di Sanmicheli: il complesso meccanismo delle
bugne, però, interagisce con le aperture dei tre portali e con un
fregio dorico in corrispondenza delle due finestre. La sequenza
degli ordini architettonici è ripresa in modo più esplicito in
ognuno dei due piani nobili soprastanti, dove, in corrispondenza
delle due fasce laterali, si aprono delle finestre centinate ad
unico fornice; al centro, l’ampio vano interno del portego è
illuminato da una serliana.
Queste aperture sono inquadrate da
una sequenza di lesene ioniche e corinzie rispettivamente al primo e
al secondo livello, mentre un complesso sistema di elementi
orizzontali (trabeazioni, fasce marcapiano, balaustrate) legano alla
superficie di fondo tutti gli elementi impaginati nella facciata.